La storia

L’Ente è una Fondazione culturale di diritto privato, vigilato dal Ministero P.I. e dall’Assessorato Regionale P.I., ed è statutariamente finalizzato a promuovere “istruzione ed educazione” (Decreto regio istitutivo del 1875), ossia è una Fondazione per la promozione di istituzioni scolastiche e di attività culturali.

L’Ente ha sede nel grande seicentesco Palazzo S. Anna (di proprietà del medesimo Ente), situato ‘in un luogo cospicuo’ su una collina della Città, con giardino ed ampio orto. L’Ente è fornito di un proprio archivio storico di n. 182 fasci di documenti. Nel Palazzo S. Anna ha sede anche la Sezione di Modica dell’Archivio di Stato, che usufruisce di numerosi locali per la conservazione di 17.000 fasci di documenti storici e di due biblioteche.

Essendo stato già istituito (1866) a Modica l’Istituto Tecnico ‘Archimede’, l’Ente agli inizi fu teso ad istituire ed organizzare il Liceo Classico ‘T. Campailla’ di Modica (1875/78) – uno dei più antichi dell’Italia politicamente unificata e che ha servito per oltre un secolo tutta la provincia di Ragusa, e da cui sono usciti ed escono schiere di giovani ed eminenti Studiosi in vari campi del Sapere – oltre ad un Convitto (prioritariamente per giovani di disagiate condizioni economiche) che ebbe vita assai breve. Oltre a dar vita al Liceo Classico di Modica – l’unico in provincia fino al 1929 - e a sostenerlo finanziariamente nonché ad accoglierlo nel grande Palazzo degli Studi (già Collegio dei Gesuiti) di proprietà dell’Ente (e venduto al Comune di Modica nel 1983 con l’esplicito intento di potenziarlo, sempre in funzione scolastica), l’Ente Liceo Convitto ha accolto nel medesimo Palazzo degli Studi, per oltre un secolo, il prestigioso Istituto Tecnico ‘Archimede’. Anche i gabinetti scientifici dell’Istituto Tecnico ‘Archimede’ e quelli del Liceo Classico furono realizzati con finanziamenti dell’Ente Autonomo Liceo Convitto.

L’Ente sostenne inoltre, nel 1913, l’istituzione della Scuola Normale (Istituto Magistrale), e l’accolse in altra propria sede (Palazzo S. Anna). Recentemente (1997) il Consiglio Direttivo dell’Ente L. C. ha promosso ed accompagnato, fino alla sua istituzione, il Liceo Artistico Statale. Successivamente la Fondazione Culturale si orientò al sostegno di attività promosse da altri Enti (Scuole, Istituzioni culturali), al finanziamento di pubblicazioni edite, alla sistemazione di una grande area verde finalizzata ed attrezzata pure per manifestazioni culturali esterne, all’erogazione di borse di studio in favore di giovani studenti universitari, meritevoli e bisognosi.

L’Ente ha ospitato nella propria sede una Scuola di Musica ed un Coro di voci. In questi ultimi 10-15 anni la Fondazione Culturale, coerentemente con le proprie originarie finalità, ha promosso vari corsi organici di studio - guidati da Docenti fra i più qualificati nei rispettivi ambiti - volti ad una conoscenza del territorio sud-orientale della Sicilia con particolare riferimento a quello già della Contea di Modica, poi Circondario della medesima, e dal 1927 Provincia di Ragusa. L’ambito di studio si è però volto anche ai Comuni iblei montani, in considerazione del comune retaggio culturale.

In luogo cospicuo

Il complesso architettonico di S. Anna

Lina Ammatuna

L’imponente mole del convento di S. Anna e S. Calogero s’inserisce, a Modica, pressoché al sommo del declivio della collina del ‘Dente’ (‘o renti’ = Oriente): “I Minori Riformati sotto il titolo di S. Anna, in luogo cospicuo dove il destro lato della valle tende ad oriente, abitano un ampio monastero dall’anno 1639”. Il complesso architettonico infatti si erge a ridosso di ‘Cartellone’, uno dei quartieri più intricati e suggestivi del tessuto urbano della Città, in uno dei primi siti qui edificati per la felice posizione ad oriente e l’abbondanza di sorgive confluenti nel sottostante torrente. Alto e solenne balcone, da esso è possibile mirare tutta la vallata e gli edifici più rappresentativi della Città. Circondato da altri conventi e monasteri (antichi o più moderni), resta anche oggi attraversato da atmosfere seicentesche e dal silenzio dei secoli trascorsi.

Il convento fu fondato nel 1639. Ma l’edificio costituisce il possente ampliamento di un precedente conventino ivi presente – sembra – dal 1613, con annessa chiesetta dedicata inizialmente a S. Calogero. Da Placido Carrafa, che pubblica nel 1653 il suo Motucae descriptio seu delineatio, sappiamo (pur con una certa enfasi espressiva) che già in quell’anno “a somiglianza di questo Convento – se è concesso dirlo – nessun altro in Sicilia riteniamo s’innalzi più superbo e magnifico”. L’edificio andò strutturandosi intorno ad un cortile/chiostro centrale, pressoché quadrato, con ambulacri inferiore e superiore forniti di doppio ordine di loggiato aperto. Quanto alla più grande chiesa, la cui costruzione veniva ancora auspicata nel 1654 , essa venne distesa sul fianco-nord del convento, e sul portale d’ingresso troviamo incisa la data del 1686.

Chi fu il progettista dell’ampliato complesso conventuale? Paolo Nifosì, storico dell’arte della Sicilia Sud-Orientale, ha individuato un prezioso documento ove si riferisce come frate Marcello da Palermo, francescano ‘strictioris ordinis’ – ossia degli Osservanti Riformati – che risiedeva proprio nel convento di Modica, e che aveva disegnato la nuova (pre-terremoto) pianta della fabbrica di S. Giorgio di Modica (1643), sia stato, in quei medesimi anni, ‘maestro ingegniero della fabbrica di Sant’Anna’ . Il terremoto dell’11 gennaio 1693 che sconvolse il Val di Noto, danneggia parte del convento provocando danni valutati 200 onze, come leggiamo in una relazione riguardante i danni provocati dal terremoto sulle architetture religiose nella parte bassa della Città, conservata nell’Archivio Capitolare di San Pietro. Agli anni successivi al terremoto sembrano risalire almeno gli stucchi delle volte di quelle due grandi sale (distese lungo pressoché tutto il piano terra prospiciente la vallata), che presumibilmente costituivano l’aula capitolare ed il refettorio, ma forse anche il rifacimento delle volte stesse, come testimonia la data 1696 incisa su uno dei conci di chiave della volta dell’attuale sala di studio dell’Archivio di Stato (oggi opportunamente allogato, appunto, nel Palazzo S. Anna). Una lapide in marmo, con incisa la data del 1712 (ulteriore tappa della costruzione: del pavimento del chiostro?), è stata recentemente (1999) rinvenuta nel chiostro (… ove un’infausta mano l’aveva utilizzata per coprire lo sbocco di una grondaia). Al 1746, data dipinta sulla volta dell’abside, risalgono gli affreschi a ‘trompe l’oeil’ all’interno della chiesa. P. Nifosì attribuisce a Gaspare (1691-1779) o a Giovanni Ciriaci, pittori romani, tale scenografica decorazione per analogia stilistica con la decorazione, effettuata dai Ciriaci in quei medesimi decenni, del soffitto ligneo della chiesa madre di Comiso e di quello della chiesa del SS.mo Nome di Gesù, sempre a Comiso : ulteriore testimonianza, dunque, del puntuale dialogo di questo Territorio con altre realtà culturali.

Gli stucchi, settecenteschi , secondo il Belgiorno, sarebbero opera del Gianforma; l’attribuzione tuttavia resta dubbia.

Le fonti d’archivio da cui trarre elementi certi sulla vicenda storica dell’edificio conventuale si esauriscono qui, per riprendere poi con la fondazione, nel 1872/75, dell’Ente ‘Liceo Convitto’. La fondazione culturale ‘Ente Autonomo Liceo Convitto’, acquisendo nel 1878 la proprietà del convento e dell’annessa chiesa, affida il progetto di ristrutturazione, in funzione delle proprie finalità statutarie (di promozione scolastica e culturale), all’ing. Salvatore Toscano, allora ‘ingegnere comunale’. Il progetto viene consegnato il 30 aprile 1879. I lavori, affidati a Giovanni Pluchino, capomastro, e per quelli di falegnameria a Vincenzo Gennaro, iniziano nel 1885 per concludersi nel 1890; nel 1893 il collaudo dell’ing. Sergio Sallicano da Noto.

La destinazione (parziale o totale) a Convitto per studenti provoca profonde modifiche nella struttura e nella distribuzione degli ambienti dell’antico convento. Difficile risulta una ricostruzione delle fasi della ristrutturazione non avendo trovato materiale grafico d’archivio ma potendoci avvalere solo di una relazione, o meglio di una stima dei lavori da eseguire nell’edificio, ritrovata nell’Archivio dell’Ente. Da essa è possibile intuire alcuni degli interventi operati, in primo luogo di quello più determinante che elimina, nel chiostro, il loggiato del piano superiore con “archi, colonnette e zoccolo di base”. Viene eliminata all’interno di tale piano una doppia fila di celle (che dovevano essere certamente arretrate rispetto al loggiato aperto); si realizza poi un ampio corridoio che percorre le quattro ali e che affaccia, con due finestre per lato, sul chiostro sottostante, mentre sui prospetti all’esterno – a tramontana, a levante e a mezzogiorno – si creano ampie stanze, che si susseguono. Intatto è rimasto invece il loggiato del piano terra dove 18 colonne di fattura seicentesca, ricavate da un unico blocco calcareo, sorreggono con eleganza gli archi che, con autonoma ed apprezzabile intenzionalità progettuale, permangono leggermente acuti; 8 semicolonne sono addossate ai quattro pilastroni angolari. I capitelli si presentano uguali su tre lati, ornati da quattro semplici foglie d’acanto, mentre quelli del quarto lato (prossimo all’aula capitolare) sono più ricchi ed elaborati. Il chiostro racchiude al suo interno una cisterna, la cui vera costituisce il centro di un magnifico disegno formato dalla sapiente disposizione delle lastre di calcare, sagomate a formare volute e schemi geometrici, e dei ciottoli che si innestano nel disegno a costituirne il fondo. Gli altri interventi ottocenteschi furono operati principalmente sulle scale a cui fu cambiato andamento: soprattutto sullo scalone principale, adiacente l’ingresso, chiaramente ricostruito invadendo con gli archi di appoggio l’antica armeria; fu inoltre eliminato il collegamento con i sottostanti dammusi. L’ingresso principale, oggi con due robuste colonne laterali (emergenti per circa tre quarti della loro circonferenza massima) e con solenne trabeazione, era, ed è tuttora, ubicato – spostato, se pur non di molto, rispetto all’antico – sul prospetto laterale, a tramontana, antistante la grande spianata. Ma il prospetto più rilevante dell’edificio in realtà è quello che affaccia sulla Città, a levante, dove si susseguono le sette grandi finestre del piano terra e, in corrispondenza, i sette balconi del primo piano; il finestrone centrale del piano terra è ornato di un finto balcone – appoggiato ad una scarpa – formato da una balaustra con colonnine in pietra. Tali aperture sui tre prospetti – a levante, a tramontana, a mezzogiorno – sono frutto, anch’esse, di modifiche di quelle preesistenti (più piccole e più numerose).

Il piano terra (da considerarsi tale rispetto al livello del chiostro verso cui, all’interno, esso si apre) dell’ala a levante poggia su alti dammusi (oggi restaurati), che si aprono pienamente (soltanto sul prospetto) verso la vallata. Alla sommità della facciata principale è innestata sul cornicione di coronamento, alto e con pronunciato aggetto – conseguente anch’esso la ristrutturazione –, una gigantesca aquila in calcare, di ottima fattura artigianale, con il blasone ed il cartiglio della ‘Contea di Modica’, la cui memoria permane viva nella consapevolezza della Città. Sul prospetto a mezzogiorno vengono successivamente aperti tre balconi che danno su un terrazzo che si distende su un’alta scarpa di sostegno.

Nel 1891 viene aperta, alle spalle del convento, l’attuale via Liceo Convitto e di conseguenza viene costruito il ponticello che anche oggi collega l’edificio all’orto superiore (recentemente sistemato a giardino). L’orto di Sant’Anna finì quindi per restare diviso in una parte a monte della nuova strada e in una più ampia parte a valle, direttamente accessibile dall’interno del Convento. L’orto inferiore (a parte l’accesso precedentemente forse più ampio e comodo) non ha subito grandi trasformazioni; in esso troviamo una grande ‘gebbia’ sopraelevata, con comoda apertura su un lato (e non sulla volta) cui si accede per una scala in muratura, e il sistema di canalizzazione dell’acqua per l’irrigazione che, da una grossa fontana ai piedi della gebbia, si distribuiva (e può distribuirsi tuttora) nell’orto scorrendo nelle saje, canalizzazioni in pietra affondate nel terreno. L’orto era un tempo molto ricco di piante: in un documento stilato per l’acquisto dell’orto di Sant’Anna si elencano numerosi alberi da frutto, venticinque pergole e ben cento agrumi, suddivisi quest’ultimi per classe. Annotiamo infine che nel 1893 si costruisce il muro di sostegno e una porzione del muro della Chiesa e nel 1895 viene sistemato l’ampio cortile esterno.

Il terremoto del 1693 e la ristrutturazione ottocentesca non sembrano aver toccato sostanzialmente la grande aula chiesastica annessa al convento, che pertanto costituisce una fra le poche testimonianze seicentesche pre-terremoto rimaste in Città. I danni sono stati piuttosto causati dall’incuria, dopo che la chiesa venne sottratta al culto. La mancata manutenzione dei tetti ha provocato infiltrazioni che, a lungo andare, hanno indebolito la volta di ‘spuntatura’ fino a provocarne il crollo, e logorato le quattro eleganti nicchie con statue, inserite in alto nelle pareti laterali. Intatta è rimasta la parte absidale, dove si sono conservati i dipinti a trompe l’oeil, e la copertura del coro – con le sue tre nobili ed elevate arcate sorrette da colonne – che, disposto sul pronao, affaccia sull’aula. Il crollo della zona centrale ha, invece, portato con sé la parte sommitale degli stucchi che ornano le finestre e i pannelli della navata e ha danneggiato, frantumandolo in gran parte, il pavimento: un geometrico disegno costruito dal gioco della pietra bianca di Modica e della ‘pietra pece’, l’asfalto molto usato nelle pavimentazioni locali dell’epoca. Degli arredi della chiesa rimane oggi il grande piramidale altare maggiore, di stile francescano, in legno rivestito di numerosissime lastrine di vetro dorato. Altro tabernacolo dello stesso stile fa parte di un altare laterale. Un ulteriore altare, simile per fattura nella parte superiore al maggiore, è quello del Crocifisso (1638); il paliotto è però in graniglia e marmi policromi. Si fa appena cenno a due grandi tele (oggi rimaste) - S. Anna, sull’altare maggiore, e l’Immacolata Concezione - perché ricoperte da difese o rimosse a seguito dei restauri in atto nella chiesa, e non ancora fatte oggetto di studio.

Il convento di S. Anna dei Minori Osservanti Riformati

Giancarlo Poidomani

Fino al 1866 grandi e solenni edifici, oggi sede di istituzioni pubbliche, erano in gran parte complessi edilizi conventuali di Ordini religiosi maschili o femminili. Per Modica potremmo compilare una lista con almeno 10 casi a dimostrazione della rilevanza, in età moderna, di un clero regolare, maschile e femminile, fortemente radicato nel territorio urbano e in quello rurale, nonché del rilievo della stessa Città. Tra questi edifici è il Palazzo S. Anna, che oggi è sede della fondazione culturale ‘Ente Autonomo Liceo Convitto’ (promotrice di questa rivista), oltre ad accogliere nelle sue grandi sale l’Archivio di Stato, con i suoi 17.000 fasci di documenti e due biblioteche, già private.

Fino al secolo scorso, era convento francescano dei Minori osservanti riformati. A Modica, presso il predetto Archivio di Stato (ASM), nel fondo Corporazioni religiose soppresse (CRS) troviamo 13, fra buste e registri, di documenti relativi al convento che vanno dal 1643 al 1873. Si tratta, per lo più, di libri di contabilità interna e di atti e scritture diverse che comprendono testamenti, lasciti e legati in favore del convento francescano. In una delle prime buste si trova anche una breve storia della fondazione del convento, che ritroviamo – più ampliata – nella relazione scritta, nel febbraio del 1650, dal Padre Guardiano (ossia, ‘Superiore’) fra Crisostomo Colle da Piazza (Armerina), in occasione di una grande inchiesta promossa dal papa Innocenzo X sul clero regolare maschile di quasi tutti gli Stati italiani e conservata oggi a Roma presso l’Archivio segreto vaticano (ASV). A tale ultima relazione faremo prevalente riferimento nel presente studio.

L’inchiesta innocenziana del 1650. L’indagine mirava a delineare un quadro della consistenza demografica e patrimoniale degli Ordini religiosi maschili e a valutare, per ciascun convento, la disponibilità di risorse sufficienti al mantenimento di una comunità religiosa non troppo esigua (il concilio di Trento aveva stabilito un numero minimo di 6 religiosi) e tale da poter garantire la regolarità delle funzioni di culto e l’osservanza regolare propria di ciascun istituto…

I Minori osservanti ‘riformati ’. Il convento di Modica era uno dei conventi dei Minori osservanti riformati fondati nei primi decenni del Seicento in Sicilia. Il rifiuto assoluto di qualsiasi tipo di proprietà – terriera o edilizia – e di qualunque entrata, anche da censi e legati, per evitare pericoli di mondanizzazione dell’Ordine fondato da S. Francesco, aveva infatti spinto alcuni gruppi di frati ad operare una serie di scissioni all’interno dell’Ordine dei Frati minori, fin dalla prima metà del XIV secolo. Dalla prima di queste scissioni era nata la Regolare Osservanza: nel 1446 il papa Eugenio IV concesse agli Osservanti l’autonomia, con Costituzioni, vicari generali e maestri provinciali propri. Nel 1517 Leone X, con la Bolla Ite vos, sancì la divisione dell’Ordine francescano in due blocchi autonomi (Conventuali ed Osservanti), riconoscendo il fallimento del tentativo dei movimenti dell’osservanza di realizzare la riforma degli istituti francescani di più antica origine e assegnando il primato giuridico ai Frati minori osservanti, che ricevettero il sigillo dell’Ordine. Mentre nei primi decenni i Frati minori osservanti vissero quasi esclusivamente di elemosine e di cerche, a metà del Seicento la situazione era leggermente mutata: alcuni conventi avevano accettato donazioni di case e terreni, di gelseti e uliveti, di legati e censi in denaro per poter sopravvivere. A Modica il convento dei Minori osservanti era quello di S. Maria del Gesù, fondato dagli stessi Conti nel 1478, a sancire con tale munifica istituzione il matrimonio, ormai prossimo (1481), di Anna Cabrera, erede della Contea, con Federico Henriquez, ammiraglio di Pastiglia. Ben presto anche tra gli Osservanti si affermarono diverse interpretazioni del concetto e dello stato di povertà: da quella più vicina ai Conventuali (più moderati) ad altre più rigide. Il desiderio di attuare la Regola francescana vivendo “in primaeva puritate” spinse alcuni frati a dar vita a un ulteriore movimento di Riforma che, con la bolla In suprema militantis Ecclesiae del 1532, fu approvato come Congregazione degli Osservanti ‘riformati’ da papa Clemente VII. A differenza degli Osservanti, i Riformati decisero di vivere di pura elemosina, rifiutando di ricevere denaro per le messe e accettando soltanto elemosine di generi alimentari. In molti giorni dell’anno praticavano il digiuno e non possedevano beni immobili di alcun tipo. Nei casi in cui ricevevano un convento fondato precedentemente, rinunciavano, con atto pubblico, a tutte le rendite e ai beni precedentemente dati in dotazione allo stesso. Nel 1639, Urbano VIII aumentò l’autonomia dei Riformati, elevando a province religiose – tutte con un proprio procuratore generale – le ‘Custodie’ di cui facevano parte almeno 12 conventi. In Sicilia, la riforma fu introdotta verso il 1532 da fra Simone da Calascibetta. Nel 1579 fu eretta, da papa Gregorio XIII, la custodia del val di Mazara dalla quale, nel 1627, furono scorporate le custodie del val Demone e del val di Noto. Tutte e tre furono erette in ‘province’ nel 1639, quando contavano già 42 conventi.

Nel 1650 esistevano nell’isola 48 conventi con una popolazione complessiva di 814 frati. Nonostante la maggior parte delle entrate fosse costituita da elemosine in natura e da offerte di generi alimentari, negli stati economici delle relazioni innocenziane tali elemosine venivano monetizzate. É possibile, dunque, quantificare in scudi le rendite e le uscite di ciascun convento. Coerentemente con lo spirito della ‘stretta osservanza’ della Regola francescana, i conventi siciliani non possedevano alcuna proprietà terriera (a parte i pochi orti interni che servivano al fabbisogno interno di frutta e verdura). Le entrate denunciate dai 48 conventi furono di 26.304 scudi, le uscite di 40 conventi di 23.219 scudi (prevalentemente per il vitto e il vestiario dei frati), l’entrata media pro-capite era dunque di 32 scudi. Nei 13 conventi in cui erano presenti altri tipi di spese, il mantenimento dei frati rappresentava solo il 62,4 per cento (2.316 scudi) dell’esito totale, le spese per la fabbrica e per le migliorie degli edifici conventuali il 21 per cento (781 scudi), quelle per la sacrestia il 3 per cento (115 scudi). Le spese varie erano del 2,5 per cento (489 scudi per spese di infermeria, notai, avvocati e procuratori, utensili ecc.).

Nella Contea di Modica. I quattro conventi della Contea di Modica presentavano complessivamente 1.351 scudi di introito, 558 scudi di uscite (erano dunque in attivo di 793 scudi) e ospitavano una popolazione di 58 frati (con una entrata media di 23 scudi). Tutti e quattro erano stati fondati dai giurati delle rispettive Università . Il primo era stato eretto a Chiaramonte nel 1620. L’Università aveva concesso il sito per l’edificio conventuale e per il giardino e la facoltà di utilizzare una sorgente per irrigarlo; si era inoltre impegnata a fornire ai frati due cantàri di carne e due barili di tonno l’anno e a provvedere alle spese per medici e medicine per i frati ammalati; infine aveva concesso una gabella di 100 scudi e altri 85 scudi annui per la fabbrica del convento (ma non li aveva mai effettivamente corrisposti). Il convento di Ragusa (fondato nel 1636) riceveva dall’Università 100 scudi per quattro anni per la fabbrica dell’edificio conventuale, annualmente due barili di tonno (del valore di 10 scudi) e il necessario per la pietanza dei giorni di grasso (25 scudi). Il convento di Monterosso aveva avuto come fondatori i giurati di quella Terra. Una nobildonna aveva lasciato nel suo testamento un legato di 4.000 scudi di capitale consistente in alcune partite di terra per la fabbrica del convento e per il vitto, il vestiario e simili; l’Università, da parte propria, aveva assegnato la somma di 50 scudi annui, garantiti da una gabella, per la provvista dell’olio e della cera per i bisogni della casa. I suddetti conventi, contrariamente a quelli del resto dell’isola, destinavano solo l’8,9 per cento delle uscite al vitto e al vestiario dei frati, il 3,04 per cento alle spese di sacrestia e di infermeria e ben 325 scudi (il 58,24 per cento) per le fabbriche. In tutti erano dunque ancora in corso i lavori di costruzione degli edifici conventuali. L’Ordine, infatti, si era insediato nelle città della Contea da pochi decenni.

Il convento di S. Anna di Modica. Tra il XVI e il XVII secolo conventi e monasteri, maschili e femminili, furono fondati e dotati con il concorso essenziale di patriziati e ceti dirigenti ai quali occorrevano luoghi dove anche fare studiare i propri figli o dove mantenere more nobilium le proprie figlie troppo numerose, e strumenti di rendita, quali benefici o pensioni, per i cadetti cui assicurare il mantenimento. Si moltiplicano pertanto conventi e monasteri, collegi o (meno) seminari, donazioni e lasciti, rendite e vitalizi. La partecipazione delle élites alla fondazione poteva avvenire in maniera diretta – come era stato per il convento dei Minori osservanti di Modica (S. Maria del Gesù), voluto, come prima accennato, dal mecenatismo e dagli intenti di promozione della fede e del sapere da parte dei conti Henriquez-Cabrera – oppure indirettamente, attraverso i propri rappresentanti nelle varie istituzioni civili; erano pure le stesse Amministrazioni civiche a promuovere tali fondazioni per il servizio alla Città e ‘pro sua magnificentia’, sollecitando ove occorresse il sostegno dei rispettivi príncipi. Il convento dei Minori osservanti riformati di Modica, fu fondato dai giurati dell’Università Pietro Nigro, Marco Antonio Belluardo, Rocco Zacco, Giovanbattista Pollara e dal ‘sindico’ Antonio Giardina (detto ‘Coccio’) il 2 luglio 1639 con atto del notaio Pietro Calabrese, in esecuzione del “conseglio detenuto e conchiuso a 23 di Maggio 1639 si come si vede per atto fatto nella corte dalli suddetti giurati per Gaspare Grana Maestro Notaro e confirmato dal Regal Patrimonio e dall’Eminenza del Signor Cardinale d’Oria luogotenente in questo Regno”. Nello stesso consiglio (comunale) si decise di assegnare la somma di 1.350 scudi per la costruzione del convento (che nel 1650 era giunta a buon punto). La cerimonia della fondazione avvenne secondo le consuetudini del tempo: dopo una “solenne e pubblica processione”, venne piantata nel posto prescelto una croce; seguì la posa della prima pietra da parte delle autorità (in questo caso don Bernardo Valseca, governatore della contea di Modica), previo espresso “consenso e voto di tutti i Religiosi, Beneficiati e Clero della detta città” e con “l’autorità dell’Illustrissimo Signor don Francesco d’Elia et Rubeis vescovo della diocesi di Siracusa”.

Come tutti gli altri conventi dell’Ordine, il luogo dove sorgeva quello modicano era “collaterale alle mura delle case della città” ma allo stesso tempo “ritirato ed isolato da vie pubbliche”. La breve distanza dall’abitato agevolava, da un parte, la condizione per la costruzione di grandi edifici ed il silenzio necessario alla vita conventuale, dall’altra la possibilità di stabilire relazioni, anche di carattere economico – connesse al sostentamento della Comunità nonché agli sviluppi edilizi –, con la popolazione urbana. Peraltro, si tratta non di Ordini monastici, bensì dei nuovi Ordini mendicanti, tendenti istituzionalmente a rapportarsi quotidianamente con la popolazione in funzione dell’attività pastorale e scolastica.

Le strutture edilizie rispecchiavano il modulo abitativo conventuale più diffuso, costituito da uno o due chiostri, dai dormitori (di solito al piano superiore), dove si trovavano le celle dei religiosi; da stalle, officine, dispensa, cucina, cantina e magazzini al piano inferiore. Attaccata al convento era ovviamente la chiesa con cappelle, altari e uno o due cori, e la cui decorazione e struttura architettonica variava in relazione ai diversi orientamenti culturali e di visione, austera o più sontuosa, dell’aula chiesastica da parte dei diversi Ordini. I materiali per la costruzione più usati per i conventi della Contea di Modica erano pietra calcarea, calce, ‘arena’, gesso e canne; per gli stipiti ed architravi di porte e finestre, per i ‘cantoni’ e per le cappelle veniva utilizzata pietra di “intaglio plano”, più facilmente lavorabile; per i basamenti: conci di calcare duro di estrazione locale. Il convento modicano di S. Anna aveva, nel 1650, 12 tra stanze e officine nella “fabbrica nuova” e altre 12 “tra officine e stanze per l’habbitatione dei frati nella fabbrica vecchia, di modo che detti frati vi stanno comodamente”. La relazione non accenna al chiostro e all’orto. La chiesa era “sotto titolo et invocatione della gloriosa S. Anna, [la] quale con un’altra, che prima era dedicata a San Calogero, si è accomodata per adesso un pò piccola se ben commoda perché vi possino officiare li frati, sin che con la Grazia di Dio si fabbricarà la nuova”.

Non si conosce l’entità dei danni provocati all’edificio dal terremoto del 1693; sappiamo solo che il 6 novembre 1694 la tesoreria dell’Università pagò 50 onze (125 scudi) a don Ignazio Lorefice, Sindaco apostolico (procuratore) del “venerabile convento di S. Anna per l’eretione della chiesa rovinata dal terremoto”.

Nel 1650 la popolazione religiosa era costituita da 17 frati (7 sacerdoti, 2 chierici e 8 laici) e da un ‘servente’: 7 erano modicani, 3 (il Padre Guardiano, il Lettore e il Confessore) erano originari di Piazza (Armerina), 2 di Sortino, gli altri di Chiaramonte, Siracusa, Palermo, Butera, Assaro, Pietraperzia. Meno della metà provenivano dunque dall’area della Contea: gli Ordini religiosi maschili erano, infatti, tra le istituzioni in cui maggiore era la mobilità e l’attitudine agli spostamenti. I frati dovevano essere disponibili a spostarsi da una città all’altra e da una regione all’altra, in qualsiasi momento. Un fenomeno, questo della ‘mobilità’ del clero regolare, che forse non è stato ancora pienamente valutato nella sua importanza con riferimento all’affermazione di una cultura, di una spiritualità e di una religiosità cattolica omogenee nei vari Stati italiani, in età moderna. Le entrate del convento, di 567 scudi, erano costituite (nel medesimo anno) per il 65 per cento dalla questua: 367 scudi derivavano dalla ‘cerca’ del pane, del grano, del vino, del cacio, della tela, dell’olio, dell’orzo per la mula del convento, dei legumi “necessarij per la Quaresima”, delle ‘drugarie’ per l’infermeria, della cera e della suppellettile della sacrestia (“giogali e simili, incenso, storace , sapone e simili”), di “frutti, fogliame, aceto, canape per far delle funi per le campane e per servitio della fabrica, legname per far le porte, finestre e simili”. Le elemosine rappresentavano il 14 per cento delle entrate, con 2 barili di ‘tonnina’ per la Quaresima e l’Avvento, la pietanza ordinaria e straordinaria (per Natale) “così di legato come di grasso” e un cero pasquale, per un totale di 80 scudi, concessi dalla Università di Modica. Altri 120 scudi provenivano da legati di messe e da altri legati per la fabbrica. Il necessario per il mantenimento dei frati (vitto, vestiario e medicine) proveniva dalla questua e dalle elemosine. Quanto alle uscite, si rileva che 30 scudi venivano spesi per olio, per attrezzi di cucina, “ferramenti necessarij alle porte, finestre, finestroni e simili” e per la manifattura del vestiario. La maggior parte delle uscite – 280 scudi – era destinata per la costruzione dell’edificio conventuale. Per la fabbrica venivano spesi, infatti, ben 250 scudi l’anno (l’89 per cento dell’esito totale). Anche se particolarmente accentuate nei conventi dei Minori osservanti riformati, le spese per la fabbrica erano una costante in quasi tutti gli Ordini religiosi maschili dell’Isola poiché, nella prima metà del Seicento, la Sicilia, come tutta l’Europa, aveva conosciuto una vera esplosione dell’edilizia ecclesiastica; pertanto, a cominciare già da prima del grande terremoto del 1693, una parte consistente delle rendite del clero secolare e regolare era stata orientata alla costruzione di centinaia di chiese e conventi.

La biblioteca “Emanuele Barone”

Nel gennaio 2007 il Prof. Emanuele Barone, fino ad alcuni anni fa docente di matematica e fisica presso il Liceo Scientifico ‘G. Galilei’ di Modica, ha donato la propria biblioteca alla Fondazione culturale ‘Ente Autonomo Liceo Convitto’. Il gesto, altamente munifico, comprende sia il cospicuo fondo librario sia alcuni scaffali in legno. Non possiamo allo stato attuale quantificare – se non approssimativamente – il numero dei libri (che dovranno essere in seguito catalogati). Trattasi, comunque, di circa 3.000 volumi nonché di varie raccolte di numerose riviste. Le opere manifestano gli interessi culturali molteplici del Prof. Barone, in coerenza con la forte convinzione – più volte da Lui affermata – circa l’unità e l’organicità dello ‘scire’ ossia del Sapere (al di là delle ricorrenti dichiarazioni di ‘specificità’ – peggio, settorializzazioni – delle varie discipline).

Semmai sembra trasparire lo sguardo precipuo alla Storia – ordito e condizione spazio-temporale non solo delle vicende ma anzitutto di ogni ricerca dell’Uomo –, e perciò per le sue ‘ricostruzioni’, sempre meritevoli di lettura da condurre ‘criticamente’ e ad un tempo con onestà intellettuale (come appassionatamente… e anche polemicamente, era avvertito dal Professore): lo attesta pure la raccolta di riviste aventi come oggetto studi storici.

AMDG Ego Gregorius Caraffa

Artium & sacrae Theologiae Professor, Dei & Superiorum jussu COLLEGIJ huius & ACADEMIAE MUTYCENSIS, in qua ordinariae Artium lectiones habentur, cursusque ordinarii peraguntur, RECTOR & CANCELLARIUS authoritate Apostolica consensu Regio confirmata, ad infrascripta deputatus, universis & singulis, ad quos praesentes atque praesens Privilegium pervenerit, Majoribus debitam reverentiam, ceteris vero salutem in Domino sempiternam. Divinarum Sedium assistricem Sapientiam e Coelo Hominibus mitti, ut cum eis sit atque laboret, non solum certo credimus, sed etiam saepenumero experientia ipsa deprehendimus. Etenim videmus interdum aliquos sane sortitos Animam bonam qui ab ipsa etiam pueritia seria ludis praeferentes prima literarum rudimenta bonas ac liberali Viro dignas Artes Disciplinas severiores ac denique divinarum Scientiarum rerum peracuto ingenio, solerti judicio, constanti memoria percurrunt. Dubitantum non est quin e divinis thesauris coelestem opem iis attulerit Sapientia. Huismodi exempla si numquam alibi Mutycae quidem, quam plurima cernuntur, quae Urbs, non modo Nobilissimorum atque ingeniosorum Hominum faecunda est Parens, ac totius Comitatus Caput, sed universis etiam nostrae Siciliae exterarumque Nationum, quas ipsa ad praeclaros omnium primarum Dignitatum ejusdem Comitatus honores benignissime enutrit, ne quid suae felicitati desit Hospitium est amantissimum. In hoc vero Motucensi Collegio, quo hujsmodi fere hominum varietas, omnis Nobilitatis flos ac ipsa ingeniorum lumina confluunt, atque ad Sapientiam infor- mantur, illi videntur illustriores qui in bonarum Artium adeptione sic eminent inter ceteros, sic Disciplinas, a Praeceptoribus traditas facile alteque Animo consignant sic consignatas in publicis congressionibus, magnifice proponunt ut Audientibus admirationem, sibi laudem & huic Motucensi Academiae Societatis praedictae non mediocre afferant ornamentum. Inter quos meritissime est reponendus D. GEORGIUS POLARA Motucensis annos natus XXII circiter, qui Philosophiae spatium per triennium summo omnium plausu percurrit, ac sacrosantos Theologiae recessus quatuor annorum labore pervestigavit in hoc Motucensi Collegio Societatis Jesu, in quo saepe Conclusiones ad dispuntandum cum laude acutissime defendit itemque ad Doctoratus insignia consequenda privatim a Patribus Artium liberalium ac sacrae Theologiae Professoribus, ac Magistris electis in Philosophicis, ac Theologicis Quaestionibus interrogatus, ac rigorose examinatus eximiae doctrinae specimen dedit & optimi ingenii ac eisdem Deputatis Examinatoribus obstantibus, cumulatissime, ac plene satisfecit, idoneusque judicatus, qui Doctoratus laurea decoraretur. Denique die quarto Iulij anno Domini MDCCLII, coram quamplurimis nostrae Societatis Philosophiae ac Theologiae literarumque laude florentissimis Viris, ac praecipue coram Patre Philippo Stanislao Leyva, P. Hieronymo Giardina Theologiae P. Hieronimo Barrilaro.

Theologiae Moralis P. Silvestro Ferreri Philosophiae Professoribus, puncta sibi assignata ad illa declaranda ex divo Thoma Quodlibeto XII, Quaestione III, Artic. IV dicente [A Providentia Dei omnia sunt predeter- minata & ordinata] & ex Aristotele Lib. II de Generatione Cap. V Textu XXI habente [Ignis erit exarsio Calidi et Sicci], non minus expedite, quam docte explicavit, egregie, ac copiose difficultates objectas enodavit, suique praestantissimi ingenii & mirae eruditionis expectatione non modo substinuit sed vicit, adeo ut omnium prorsus secretis votis vivisque suffragiis nemine penitus poenitus atque poenitus discrepante appobatus, & cunctis ob scientiam tot tantisque experimentis comprobatam, tum etiam ob morum vitaeque probitatern Praestantissimorum Virorum, ac fide dignorum constanti opinione testatam summeque commen- datus ac dignus qui ad Doctoratus gradum eveheretur merito judicatus fuerit. Promotoribus praeclarissimis Viris Barone D. Xaverio Rosso ac D. Carolo M.a Giardina Mutycensibus. Igitur cum concessa sit a Pio IV summisque aliis Pontificibus confirmata, & praesertim a fel. record. Gregorii XIII ampliata Generali Praeposito Societatis Jesu pro tempore existenti facultas, ut per se, aut per Praefectum studiorum Societatis Jesu, in quibus ordinariae artium liberalium & sacrae Theologiae lectiones habentur, Scholastici, qui sub eorumdem Collegiorum obedientia, directione, disciplina studuerint, ad quoscumque Baccalaureatus,Licentiaturae, Magisterij & Doctoratus gradus juxta omnia omnium Academiarum Privilegia, non solum ad instar, sed etiam uniformiter promoveri valeant, EGO GREGORIUS CARAFFA in hoc Motucensi Collegio Rector & Cancellarius authoritate Sedis Apostolicae nostrae Societati concessa & assensu Regio confirmata, mihi vero commissa, praedictum Dom.GEORGIUM POLARA Mutycensem Professione Fidei ac Juramento de more receptis ad MAGISTERIUM PHILO- SOPHIAE & SACRAE THEOLOGIAE DOCTORATUS gradum per sacrorum Bibliorum & Aristotelis librum tradi- tionem, Bireti coronae loco impositionem, Anuli in Digitum missionem & pacis osculo de more dato promovi adeo ut deinceps sit & vocetur & ab omnibus habeatur DOCTOR & MAGISTER ARTIUM, & facultatem habeat plaenissimam Cathedram Magistralem ascendendi, legendi, docendi, glossandi, seu Concilia in terpretandi, omnes & singulos Doctoris actus tam publice quam privatim exercendi, Privilegiis, quoque Immunitatibus, Exemptionibus, Exceptio- nibus, Libertatibus, Favoribus, Gratiis, Indultis, Dignitatibus quibus alii Doctores in dictis Facultatibus, tam in alma Urbe, quam in Parisiensi, Lovaniensi, Salmaticensi, Complutensi, ac quibuscumque aliis Generalium Studiorum Universitatibus juxta earum ritum & morem promoti de jure & consuetudine, ac alias quomodolibet potiuntur & gaudent, gaudendi & ponendi facultatem concessi. In quorum Fidem ac testimonium praesens Privilegium fieri jussi mano mea ac Secretarii ejusdem Academiae Motucensis & Notarii publici subscriptum & Sigilli Societatis nostrae consignatione in pede ut moris est munitum. Datum in Collegio & Academia Motucensi Societatis Jesu Quinto Nonas I..............................(1752)

Archivio di Stato - sezione di Modica

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L’Ente Autonomo Liceo Convitto ospita, in due piani del Palazzo S. Anna, la Sezione di Modica dell’Archivio di Stato di Ragusa. In virtù del plurisecolare ruolo di Modica come capitale dell’omonima Contea e nell’ ’800 come capoluogo di Distretto (e perciò a seguito del fatto che l’Archivio di Modica costituiva, già prima dell’istituzione nel 1955 dell’Archivio provinciale di Ragusa, Archivio ‘distrettuale’ connesso a quello provinciale siracusano), nella sede di Modica è conservata tutta la documentazione relativa ai secoli XV- XVIII e (parzialmente) al sec. XIX (la documentazione dei secoli precedenti al XV andò distrutta e/o dispersa). Il patrimonio archivistico è costituito di circa 17.000 fasci di documenti, assemblati in vari fondi: Contea di Modica (secondo varie articolazioni) - Archivi notarili (sono conservati gli atti di tutti i Notai fino ai nostro anni) – Corporazioni religiose (ossia documentazione delle Istituzioni religiose e delle chiese di tutti i Comuni che fanno parte dell’attuale provincia) – Archivi privati di famiglie. Sono inoltre conservate le biblioteche, già private, delle famiglie ‘Grimaldi’, ‘De Leva’, ‘Moncada’.

Il Crocifisso di Sant’Anna